Occhio all’Italia dove si avverano gli scenari futuri del gioco d’azzardo

“Abbiamo aumentato le tasse ai concessionari di gioco d’azzardo, banche e assicurazioni, abbiamo tagliato le pensioni d’oro. Con quei soldi abbiamo finanziato Quota 100 per andare in pensione, abbassamento delle tasse alle partite Iva, Reddito di Cittadinanza e incentivi per assumere giovani laureati che sono eccellenze del nostro territorio e se ne stanno andando all’estero. Questo significa ridistribuire: prendi da chi in questi anni ha mangiato sulle nostre spalle e dai a chi è in difficoltà”.

Questo è il discorso che il vicepremier del governo Luigi Di Maio ha fatto a margine dell’approvazione della legge di bilancio 2019 e che continua a ripetere a quanti pongono delle obiezioni in merito al futuro fiscale del paese. Altri fanno notare che banche e assicurazioni si rifaranno sui cittadini, che alla fine saranno questi a pagare questo aumento della pressione fiscale.

Chi non potrà certamente rifarsi con i giocatori sono i distributori del gioco d’azzardo che però fanno sapere da parte loro che “con l’aumento delle tasse di quest’anno per il prossimo non ci sarà nulla da tassare”. Non sembra un’affermazione sensata visto che la raccolta del gioco è sempre salita negli ultimi anni e probabilmente continuerà a farlo. Ma è vero che negli ultimi 30 anni nessun governo ha remato in direzione così contraria al settore, è davvero possibile che si avvii la fase discendente dell’industria del gioco?

Un’industria, troppo, fiorente

Nel 2017 la raccolta totale del gioco d’azzardo italiano ha superato per la prima volta i 100 miliardi di euro, l’anno dopo si è migliorata del 5,6%, in pratica nel 2018 gli italiani hanno giocato 107,3 miliardi di euro (fonte: Agimeg). Alla raccolta va sottratto circa l’80% che torna nelle tasche dei giocatori (i più fortunati) in forma di vincite, il restante 20% (circa) si spartisce tra la filiera e lo Stato italiano.

Quindi nel 2018 gli italiani hanno speso 18,9 miliardi, quasi i soldi di una legge finanziaria che non torneranno più nelle loro tasche. Nel 2017 è stata condotta una ricerca da parte dell’Istituto di fisiologia clinica del Cnr sul rapporto che gli italiani hanno con il gioco. In buona sostanza è stato rilevato un aumento nella popolazione adulta e una diminuzione in quella studentesca, ma in generale:

  • 17 milioni di italiani (il 42,8% della popolazione) ha giocato almeno una volta nel 2017;
  • 1 milione di studenti (36,9% del totale) ha giocato almeno una volta nel 2017, il 7,1% sono già giocatori problematici.

Leggi molto più stringenti e scenari futuri

Con dati di questo genere è facile che una delle più alte cariche governative dica “smetteranno di mangiare dalle nostre spalle” e la gente reagisca con una standing ovation. Ma oltre alle parole ci sono le leggi. La prima è stata il decreto dignità che nel merito del gioco d’azzardo ha vietato la pubblicità e le sponsorizzazioni per il settore. Poi le premesse del decreto si sono concretizzate con la legge di bilancio 2019 che ha alzato le tasse e segnato la fine delle vecchie slot machine, vediamo quali scenari apriranno questi provvedimenti.

Il gioco d’azzardo senza pubblicità

Stop alla pubblicità e alle sponsorizzazioni, mai più passaggi promozionali televisivi e simboli del betting sulle maglie dei calciatori. Ma non è così semplice. Vale la pena di ricordare che questa legge non ha praticamente alcun precedente mondiale, tra i paesi con un certo livello di industrializzazione è assai difficile trovare un ordinamento del genere, ergo la giurisprudenza italiana va muovendosi in un ambito del tutto nuovo. Vietare la pubblicità è un concetto che nell’era moderna necessita di indicazioni specifiche. Un caso al limite (per citarne uno) è la Formula 1: il sistema ha aperto alla pubblicità per il gioco, in ballo ci sono cifre che fanno gola a tutti, ma cosa accadrà quando il circus arriverà in Italia? Verranno oscurate le pubblicità sul circuito? Saranno coperti gli sponsor sui tabelloni televisivi?

D’altronde abbiamo visto quali sono i livelli di gioco dei giovani italiani fortemente attratti da un’offerta sempre più smart, dove i classici giochi da casino sono tutti disponibili su mobile e lo smartphone rappresenta sempre più il futuro del settore, almeno in termini di fruizione. Ecco quindi che la legge italiana va a porsi come ostacolo a queste tendenze, ma dovrà strutturarsi in maniera efficace e potrebbe anche essere un’apripista per gli altri paesi.

Sempre meno slot, sempre più online

Slot e videolottery anche nel 2018 hanno rappresentato la metà della raccolta del settore del gioco, ma le slot cominciano ad abbassare fortemente il loro indotto (-5,2%) palesando l’inizio di un trend che porterà alla loro uscita di scena. Quest’ultima era già stata annunciata con il decreto Milleproroghe del governo Gentiloni che prevedeva una prima diminuzione di 140 mila unità su tutto il territorio. Questo “taglio” è stato portato a termine nel 2018 e con la nuova legge di bilancio è stato deciso che entro il 2021 queste apparecchiature saranno totalmente dismesse.

Questi dati vanno in totale controtendenza con quelli del comparto online che rappresenta circa il 20% dell’indotto con i suoi 23,3 miliardi di euro. Sono andati particolarmente bene nel 2018 i casinò games che hanno fatto registrare un 22,6% di crescita rispetto all’anno precedente. Con un calo destinato ancora ad aumentare per la rete fisica e questi ritmi di crescita esponenziali per il digitale, è probabile che l’Italia diventi uno dei primi paesi dove il gioco online ha superato l’analogico.

Le tasse prosciugheranno il settore

Più 1,35% sulle newslot, più 1,25% sulle videolottery, 25% per tutto il gioco d’azzardo online, queste sono le tasse decise nell’ambito della nuova legge di bilancio 2019. Così si consuma la stoccata finale del governo al gioco d’azzardo. L’industria del settore marca numeri in positivo da diverso tempo e nonostante alcuni segmenti in crisi (bingo, ippica…) possiamo dire che in generale lo stato di salute del settore sia buono. Questo per dire che anche con questo tipo di tassazioni l’industria del gioco non fallirà.

Va però detto che il governo sta trattando il settore come una sorta di banca da cui attingere i fondi per le proprie manovre economiche, per quanto i suoi esponenti ritengano di non aver superato i livelli di stress appare abbastanza chiaro questo: da una parte si cerca di fermare l’azzardo, dall’altra si alzano le tasse per contare sempre sullo stesso prelievo erariale. Un equilibrio, se così possiamo chiamarlo, molto precario che rischia di mettere in ginocchio un settore da oltre 300 mila occupati e  lasciare a corto di fondi, se non l’attuale, il prossimo esecutivo.